Un buon Curriculum si giudica dalla sua lunghezza?
Un Curriculum con tante esperienze lavorative. C’è un modo per metterle insieme? Domande frequenti. Domande antipatiche…
Capita, e non è più così infrequente, che nella vita professionale di ognuno di noi siano stati necessari dei cambi di rotta. Per motivi tra i più disparati. A volte sono economici (come la ricerca di un aumento dello stipendio), altre volte “per interesse” (un determinato mondo non ci interessava più, o al contrario ci è interessato a tal punto da specializzarci e rimodulare il nostro ruolo), e infine capita anche “per necessità” (l’azienda in cui lavoravamo ha chiuso perché in crisi).
§ Non ci può essere una crisi la prossima settimana: la mia agenda è già piena – Henry Kissinger
Un tempo accadeva che…
Anni fa, all’inizio della mia esperienza nelle Risorse Umane, era piuttosto frequente valutare l’affidabilità di un Curriculum in base alla sua lunghezza e alla varietà di esperienze in esso indicate.
Ammetto che probabilmente avevo una mia parte di responsabilità, dovuta all’inesperienza. D’altro canto meccanismi di selezione imposti e sbrigativi, spesso e volentieri obbligavano a prendere decisioni molto veloci. Ed ecco che non era strano “escludere” da una selezione un Candidato che segnalava di aver cambiato più lavori. E che lo aveva fatto magari di frequente, rimanendo poco tempo in ogni azienda. Oppure evidenziando ampi periodi di buco nel suo passato professionale).
Era piuttosto usuale considerare poco sponsorizzabile un Curriculum con tante esperienze lavorative, da “le mille e una esperienza”.
Perché si traeva la “facile e sommaria conclusione” che la persona fosse inaffidabile: non fermandosi a lungo in un ruolo/azienda, quella persona era forse troppo volubile? di quelle su cui non riesci a fare un vero investimento?
Oppure un tale Cv era sintomo di indecisione (“un profilo così variegato denota che quella persona non sappia cosa fare della sua vita!”, pensiero piuttosto comune).
O ancora di incapacità (“forse quel lavoro, non gli riesce proprio?!”).
E se quella persona fosse addirittura “problematica“? Quella che ovunque va, crea dissidi e alimenta polemiche, motivo per il quale non riesce a legare né a rimanere in nessun luogo di lavoro troppo a lungo? Altro pregiudizio. Ma un tale pensiero era sostenuto da colloqui poco convincenti e carichi di rabbia verso i datori di lavoro.
Cosa c’era di sbagliato e cosa di vero?
Poniamo che tali dubbi possano essere giustificabili, perché capire chi si ha di fronte e quali sono le sue maggiori potenzialità, è parte delicata ma strategica di chi fa Selezione del Personale. E d’altro canto è “responsabilità” proprio del Candidato far comprendere la logica del suo percorso professionale, in maniera da renderlo appetibile. A tutt’oggi è consigliato comporre un Curriculum con strategia. Una strategia che possa valorizzare i punti giusti, e rendere “quasi invisibili” le aree deboli. Il che significa, nel caso di tante esperienze diverse e discontinue: selezionare, approfondire le abilità comunque sviluppate in ogni ruolo, abbreviare.
In tutto ciò, all’epoca, cosa c’era di sbagliato? Il pregiudizio.
E cosa stava accadendo davvero? Era l’epoca pre-crisi. Era un momento storico in cui retaggio culturale (quello del “lavoro per la vita”, come era stato per i nostri genitori) e la ricerca (tutta personale) di una mia identità professionale si fondevano. Nell’idea che effettivamente continuità è ricchezza, è specializzazione, è preparazione.
Quindi ecco che leggere tante esperienze — magari molto frammentarie, con cambiamenti repentini o scarsamente giustificabili, tanto da far intendere che DIFFICILMENTE il Candidato poteva aver acquisito delle competenze vere… — non generava fiducia, né un buon impatto, alla lettura di un Curriculum.
E a dirla tutta, poi, ricordo che qualche volta… volendo dare comunque credito (e un’opportunità) anche a quel Cv sconnesso e senza capo né coda, beh, … ricordo che qualche brutta figura mi è capitato di farla davvero, col Candidato chiamiamolo “dalle idee poco chiare”.
Poi è venuta la crisi. E’ cambiato tutto. Anche i criteri di analisi
Crisi ha significato: perdita di posti di lavoro, perdita di quell’impiego “per la vita” e impossibilità di reinserirsi nel breve e per lo stesso grado di professionalità.
E col tempo abbiamo sdoganato un concetto di flessibilità, che allora non aveva ancora il significato che ha oggi. Salvo che per il lavoro stagionale, aziende e lavoratori fino a quel momento avevano ragionato sul lavoro come valore stabile. Ed erano davvero forti, all’inizio, le resistenze verso il lavoro considerato temporaneo (per sua natura, o semplicemente perché a un certo punto si sente il bisogno di cambiare rotta…).
E con le difficoltà di mercato, vennero missioni e i contratti di lavoro più brevi, volenti o nolenti. E se da un lato, tutti (aziende e lavoratori) faticavano ad abituarsi alla nuova prospettiva di breve periodo, dall’altro il Lavoratore “ancora” stabile (una mosca bianca!) si aggrappava con le unghie e coi denti al suo posto di lavoro, perché cambiarlo era un rischio e prima di correrlo ci si pensava due volte.
Affrontare il cambiamento
Nello stesso tempo – parliamo degli ultimi 10 anni al massimo – è accaduta una sostanziale rivoluzione su temi collegati al lavoro, quali specializzazione e sviluppo personale.
Lavorare è diventato sempre di più espressione ANCHE di un valore personale (che sia in termini di capacità o di virtù). E le capacità di adattamento e trasversali, sia perché distintive dell’individuo, sia perché più efficaci nell’inserimento in ambienti di lavoro più dinamici, si sono ricavate uno spazio di rilevanza rispetto alle più “scontate” capacità tecniche.
Alla scoperta della multipotenzialità
Tutto nuovo. Sia per i “vecchi” lavoratori, quelli che si sono trovati nella condizione “obbligata” di doversi reinventare, professionalmente parlando, anche dall’oggi al domani. Sia per i “giovani/nuovi” lavoratori, alla loro prima esperienza, affacciatisi su un mondo tra difficoltà e mutazioni (nuove skills, nuovi settori, nuove mansioni, nuove aspettative).
Necessità, nuovi approcci, diversificazione, tutto ha condotto Aziende, Recruiter e Candidati a giocare una nuova partita. Quella di sapere e voler fare più cose. E di valutare con occhi diversi quella che è a tutti gli effetti un’abilità. Di più: un modo d’essere e di approcciare la vita.
Attenzione. Non è che le mutate condizioni della società spieghino la multipotenzialità. Non intendo questo.
Ma se di recente abbiamo scoperto che saper fare più cose è ricchezza, e soddisfazione, probabilmente è anche “grazie” a questo nuovo contesto economico.
E oggi, per il Recruiter?
Nel mio personale approccio al tema, la mia percezione si è del tutto RINNOVATA.
“Giudicare” un Candidato solo in base alla volatilità delle sue esperienze curricolari, non solo non è adeguato, ma nemmeno un buon lavoro da Recruiter. Fermarsi all’apparenza di un Curriculum con tante esperienze lavorative frammentarie significa non conoscere davvero la persona e cosa potrebbe esprimere al meglio.
L’esperienza mi ha insegnato che qualche volta il Candidato giusto nella situazione sbagliata comunque pregiudica il buon esito di un “matrimonio” professionale. Quindi NON è più vero che il problema è sicuramente nel Candidato. Bisogna entrare in empatia con lui, per avere la sua fiducia e capire la vera spinta emotiva che sta dietro i cambiamenti, la sua inquietudine.
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Ma anche il mondo intorno a noi è cambiato
Abbiamo fatto gli anticorpi alla flessibilità, anzi a volte addirittura la gestiamo, e riconosciamo che dobbiamo fare i conti con l’instabilità e con la reputazione che tutti ci lasciamo dietro. La flessibilità ora è un’esigenza tanto per le Aziende quanto per le persone, che spesso fanno del lavoro corrente – stabile o temporaneo che sia – un trampolino di lancio per nuove sfide.
E il Candidato moderno incarna una nuova voglia di crescere, di mutare pelle, di migliorare la propria posizione, di contrastare il fenomeno di chi si deve accontentare per necessità.
Ammetto che oggi se devo valutare un Curriculum con tante esperienze lavorative, il mio sentiment è di CURIOSITÀ piuttosto che di DIFFIDENZA. Il che non significa che “giustifico”! Ma che rigiro al Candidato la responsabilità di convincermi circa i suoi cambiamenti. Gli do l’opportunità di mostrare e spiegare, ma sappia che sarà sotto una lente d’ingrandimento.
Un Curriculum efficace sai già che di buchi non ne dovrebbe avere!
Ma se hai avuto dei “brutti periodi” o se ha vissuto delle esperienze che ritieni poco significative tanto da volerle eliminare, è opportuno che tu lo faccia ben sapendo che dovrai dare più spiegazioni. E dovrai farlo in maniera molto convincente se vuoi che il mercato del lavoro ti dia fiducia. Non solo. Poi la fiducia dovrai confermarla sul campo.
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Ad ogni modo crisi o non crisi, sono stra-convinta che le difficoltà degli ultimi anni abbiano tirato fuori dalle Persone il meglio, e voglio pensare che sul campo di gioco AziendeVsLavoratori oggi ci sia più equilibrio tra le volontà. Azienda e Lavoratore si prendono o si cambiano per reciproco interesse o reputazione. E il Candidato-Lavoratore ha più propensione al rischio perché sperimenta per capire cosa può fare meglio, o lo appassiona di più, o per ottenere una maggior remunerazione.
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In definitiva oggi
Se il tuo Curriculum con tante esperienze lavorative, quelle che per te sono significative e indicative di un percorso di maturazione, o anche se sono “inciampi valorizzati da ragionevoli motivi” (WOW! 🙂 ), IO LO SOSTENGO!
Con le giuste argomentazioni diventa il Cv di un Candidato che non vuole fermarsi al primo gradino; del Lavoratore che se si “accontenta” lo fa solo temporaneamente e da subito cerca di crearsi un’occasione migliore.
Cambiare è migliorarsi e aumentare le proprie competenze. È rimettersi in discussione, è alimentare le proprie ambizioni. Ma a volte è anche ammettere che quel lavoro non fa per te e che puoi dare di più. È mettersi al centro del proprio mondo e, nel rispetto dell’incarico preso e delle persone che ti circondano, analizzarlo con maggior senso di responsabilità; e rinunciarvi se è la cosa migliore da fare.
Attenzione!
Non è un alibi, ma per me è vivere l’Azienda in modo più sano. Ergo, dietro a un lungo Curriculum con tante esperienze lavorative, c’è una Persona che ha fatto delle scelte e ha le sue motivazioni da argomentare.
Con convinzione e attenzione alla sua reputazione, a quello che di se stessa lascia sul campo.
Il Candidato è avvisato. Ma attenzione: le sue argomentazioni vanno ascoltate!
E tu cosa ne pensi? Qual è la tua esperienza su questo tema? Di’ la tua, scrivimi nei commenti!
Articolo revisionato il 20 Marzo 2019 alle ore 10:00.
…e invece purtroppo nel mondo del lavoro un curriculum con tante esperienze diverse non viene assolutamente visto come sinonimo di flessibilità, esperienza e bagaglio culturale. Nessuno pensa a come sia la persona, ma solo al suo “profilo”… non hai lavorato 20 nello stesso ambiente? …allora non vali nulla…
Mio marito cerca lavoro da 1 anno e mezzo e si è candidato a centinaia di posti ma niente….non c’è “specializzazione”…
Lasciate ogni speranza… 🙁
Buongiorno Elisa, grazie della testimonianza. Capisco benissimo ciò che dice: il suo non è l’unico caso, purtroppo.
La logica dell’articolo era di riflettere sul tema, attraversando i cambiamenti più significativi nelle logiche di selezione e scelta del lavoratore ideale. Il parere che esprimo è frutto di una personale analisi ed esperienza, nel mio piccolo da Selezionatrice professionale. E le garantisco che riflette la tendenza di chi, oggi, fa Selezione con rispetto delle persone. E di molte Aziende serie, mature e consapevoli di dove si trovi davvero la qualità del lavoro: nella trasversalità, nella capacità di adattarsi, nella multidisciplinarietà.
Ovviamente, però, ci sono anche Selezionatori approssimativi e aziende meno serie. E quello che lei dice, si verifica eccome… Persone e imprese sono ancor troppo spesso annebbiate da vecchie logiche (tipo “troppi cambi=poca specializzazione e poca affidabilità”). Soprattutto in una determinata fascia d’età e professionalità, le tante esperienze sono interpretate malamente o, a mio parere, superficialmente.
Pensi che è accaduto anche a me. Qualche tempo fa un imprenditore mi ha detto “non puoi che pensarla così, dato che tu stessa hai cambiato diversi impieghi e non hai avuto un lavoro lineare”. Le risparmio i dettagli, ma ho colto immediatamente la debolezza del suo ragionamento. Nello stesso momento in cui metteva sullo stesso piano le mie brevi esperienze da neolaureata, i 12 anni da recruiter e alcune attività svolte in contemporanea. Un’azienda così superficiale, NON è il datore di lavoro con cui voglio lavorare.
Detto ciò, anche grazie a lei, Elisa, ho ripensato all’argomento. C’è l’assoluta necessità di raccontarlo anche dal punto di vista di chi, come suo marito, ha un cv lungo, o frazionato, o con salti/buchi, e non riesce a superare il filtro. A tal proposito esistono alcune “furbizie” e alcuni “rimedi”: il mio prossimo articolo sarà proprio su questi. Spero potrà esserle utile. Se vuole approfondire privatamente, può contattarmi via e-mail.
A presto. Silvia