Relazioni difficili al lavoro!
Ti sarà capitato almeno una volta di collaborare con un collega o un Capo difficile e dal temperamento focoso.
Avrai assistito alla situazione in cui, in un momento di forte stress lavorativo o a causa di un problema, il tuo Capo ha deciso di riportare tutti all’ordine alzando la voce. Oppure avrai partecipato a una riunione concitata, magari c’è stato un errore lavorativo o si sta avvicinando una scadenza, e in quel momento la reazione del gruppo, o del tuo responsabile è uterina, adirata; nessuna scusa o spiegazione; è spazientita.
Nelle dinamiche quotidiane di lavoro, anche nella migliore delle collaborazioni, può succedere che si crei un’incomprensione lavorativa o una tensione tale da uscire dai toni dell’ordinario confronto. Si spera che ci sia immediato chiarimento e che i modi tornino velocemente a essere controllati, rispettosi, professionali e costruttivi. Ma il contesto lavorativo (e a volte anche quello personale) può innegabilmente determinare forti stress e pressioni, tra convivenza prolungata e forzata, regole da applicare, obiettivi da raggiungere, ruoli assegnati e diverse responsabilità… E la reazione incandescente può essere dietro l’angolo.
Probabilmente si tratta di un episodio eccezionale
Ma cosa dire del collega che perde sistematicamente la pazienza o che reagisce sempre in modo concitato? E se poi il primo a farlo, fosse il tuo Capo? Se è un Capo difficile? Se alzare la voce, rimproverare con durezza, contrariare bruscamente e platealmente ogni iniziativa fosse proprio il suo stile di Leadership?
E ancora: è carattere/temperamento, oppure strategia/passione per ciò che sta facendo? Non ne usciamo bene in ogni caso, secondo me. Nel 1° perché il collega è così, punto e basta. Nel 2° perché se non sappiamo convivere con quello che per lui è un modo per stimolarci, e anzi lo percepiamo con fastidio o remissione, non avremo scampo e vivremo il nostro Lavoro con un continuo malessere di fondo. Di certo la nostra performance non sarà il massimo…
Oltre la realtà
Va da sé che la sensibilità personale può farci percepire questi episodi in modi diversi. Per quanto mi riguarda, la MIA percezione mi dice che autoritarismo e sgridata sistematica sono in contrasto col moderno modo di vivere l’Azienda. Inibiscono il confronto costruttivo tra i livelli e il contributo proattivo di chi sta sotto, in tutte le gerarchie aziendali, minando il successo del gruppo.
Purtroppo (dico purtroppo, è il mio personale pensiero!) prendo tristemente atto che la storia ci propone esempi opposti: leader celebri tanto “vincenti” quanto intemperanti, coi quali io personalmente non avrei mai voluto lavorare, nonostante il loro successo. L’idea mi viene dopo aver conosciuto Robert Sutton e il suo The No Asshole Rule – versione italiana 😉, che mi sono divertita a leggere. È divertente perché ad ogni passo ti dici: “accidenti, ma questo l’ho visto anche io!”, oppure “nooo, ma questo è troppo!!!”. E la scelta della terminologia è alquanto esplicita, sia nella versione originale che in quella italiana, pensiamo alla traduzione del titolo – curiosi vero?? trovate il link per l’acquisto online appena qui sotto, così potete soddisfare la vostra curiosità! 🙂
Attraverso particolareggiati aneddoti sui singoli personaggi (tratti dal mondo della politica, delle grandi Aziende e delle arti), Sutton ci dice che comportamenti offensivi sistematici nei luoghi di lavoro da parte di un Capo difficile (o un collega) possono diventare persecutori e minare l’ambiente, nonché la produttività e la cooperazione.
Salvo riconoscere la differenza tra urla e urla. A seconda dei contesti lavorativi e culturali e della storicità del rapporto tra le persone coinvolte, a volte alzare i toni può al contrario “motivare”. Può esprimere forza e portare al successo.
Ma a mio avviso quest’ultima casistica è piuttosto residuale
E Anacronistica. Altri, addirittura prima di Sutton, hanno approfondito il tema delle organizzazioni aziendali caratterizzate da comportamenti nevrotici, oppure isterici, oppure ossessivi di chi ricopre ruoli apicali, dando chiaro giudizio che una tale realtà è disfunzionale e nociva. Parliamo degli anni 80-90, di Kets De Vries e Miller e L’Organizzazione nevrotica, una vita lavorativa fa e già si sentiva il bisogno di denunciare i malsani eccessi… Anche qui link per documentarsi 🙂
E oggi? Secondo me oggi più che mai il lavoro è multidisciplinare e richiede una grande spinta interattiva, a TUTTI i soggetti coinvolti: alle Aziende e loro Manager per migliorare il proprio business, e ai Lavoratori se vogliono appagarsi di più. Per questo credo che pochi di noi abbiano DAVVERO voglia di lavorare in ambienti tesi e che non consentono un confronto ponderato. E che il malessere delle Aziende che hanno un elevato turn-over oggi stia anche in questo.
Sento spesso raccontare di Capi difficili che si adirano per nulla, o reagiscono ai problemi in modi sistematicamente spigolosi. O anche che rispondono in malo modo al collaboratore che propone una soluzione, ad es. con un bel “Se facciamo così da tanti anni un motivo ci sarà” oppure “di questo tu non ti devi preoccupare, non è un tuo problema”. E’ la risposta che spegne ogni confronto e ogni rapporto di fiducia…
Intraprendenza Vs Responsabilità
Se è vero che l’intraprendenza deve rispettare ruoli e responsabilità, così come è vero che un errore il Capo ha il diritto e il dovere di segnalarlo a chi l’ha commesso, per il bene dell’Azienda e dello stesso collaboratore; non sarà però che proprio a livello manageriale le abilità SOFT (o SOFT skills) sono ancora poco note, considerate, allenate? Non sarà che l’obiettivo del Manager/Capo è troppo individualista e focalizzato sul prestigio personale, più che su una visione d’insieme e sul benessere aziendale?
Se è vero che oggi più che mai il Capo dev’essere molto capace sotto l’aspetto organizzativo-decisionale-motivazionale, non sarà che invece qualcuno NON è sufficientemente preparato a farlo?
Il Buon Capo
Per essere al passo coi tempi, un Buon Capo sa guardare al risultato aziendale raggiunto, ma anche a come lo si è fatto, – a quale costo “sociale” direi io – perché non sia un caso ma frutto di una strategia della collaborazione. È importante che sia assertivo, che sappia delegare e coinvolgere, ascoltando e valorizzando il contributo del singolo. Saprà fare squadra e mettere il team in condizione di fare altrettanto, contribuendo alla risoluzione delle controversie e disinnescando le bombe. Saprà avere quella visione d’insieme che con le urla non viene necessariamente meglio! Perciò il rimprovero diventa un evento eccezionale, costruttivo e modulato (se serve, serve!), che rafforza la relazione professionale gerarchica e la fiducia.
Le modalità quindi sono importanti e vanno allenate anche ai momenti di crisi
Per me alla base della Leadership ci sono comunicazione e credibilità, che non c’entrano con reazioni frequentemente istintive, plateali e sconsiderate.
Semplicemente, non possiamo avere tutti la presunzione di diventare Capi. Ma chi lo fa e non regge lo stress e vive il contributo del suo sottoposto come una minaccia alla sua Leadership, senza mezzi termini oggi dovrebbe cambiare ruolo.
E per la vostra esperienza?