Oggi voglio raccontare una storia. La prima parte di una storia.
Quella di una ricerca di lavoro fortunata, che porta SUBITO a un impiego. E’ il PRIMO lavoro, che il tempo rende ADDIRITTURA fantastico. Fino a che…
§ Mi piace il lavoro, mi affascina completamente. Potrei rimanere seduto per ore a guardare qualcuno che lavora.
Jerome K. Jerome
Mettiti comodo
Abbiamo tanto da raccontare, io e A., e già ti anticipiamo che seguiranno parecchie pagine. Ma siamo convinte, io e A., che non ti annoierai, ed anzi potresti addirittura riconoscerti in lei. Chissà!
E dunque te la presento, A., è una persona vera, una vera candidata, che ho conosciuto molto tempo fa, e di cui ho una grandissima stima.
Si può dire che l’abbia vista crescere (professionalmente parlando) e dato che reputo davvero preziosa la sua testimonianza di “vita lavorativa vissuta”, la ringrazio in anticipo di avermi autorizzato a raccontare le sue vicende. Ovviamente alcune informazioni sono riservate; ma quelle importanti, quelle sì, le avrai tutte.
Questa storia è la sua esperienza alla RICERCA del lavoro ideale. E il suo punto di vista.
Episodio 1: La ricerca, il lavoro ideale, l’innamoramento…
Ho conosciuto A. qualche anno fa. Credo ne siano passati almeno 8.
Era alla ricerca attiva di un impiego; ebbe la fortuna (e le capacità, dico io) di trovarlo praticamente subito, la fortuna di innamorarsene, fino a che qualcosa non s’inceppa…
“Buongiorno, sono A.”, e feci la sua conoscenza
Era un giorno di colloqui come altri, un pomeriggio in ufficio. Avevo pianificato degli appuntamenti con alcuni candidati in cerca di occupazione, e si presentò anche lei: A., 25 o 26 anni all’epoca, laurea in economia. Era appena rientrata da un’esperienza di un anno e mezzo fuori sede. Non aveva richiesto un appuntamento, ed essendoci alcune persone prima, dovette attendere almeno 40 minuti. Aspettò composta e senza alcuna obiezione.
Poi fu il suo turno. A. si dimostrò subito sagace ma ponderata, sicura ed ambiziosa ma senza pretese. Già dai primi minuti di colloquio, emergeva la consapevolezza (e l’umiltà) che trovare un impiego significava inserirsi in un contesto socio-economico CHE LEI NON conosceva, né CHE LA conosceva (dato che tra studi universitari e il primo lavoro, era stata fuori per oltre 6 anni e mezzo). E che, per questo, serviva dedizione, disponibilità e un piano.
A. era un po’ timida caratterialmente. Ricordo infatti che le sue guance diventavano rosso fuoco mentre rispondeva alle mie domande, ma non andò mai in difficoltà. Non le mancava di certo la parola: anzi, aveva una proprietà di linguaggio che ti incanta. Il suo racconto era colorito ed entusiasta. Ed era molto (ma molto!) educata. Ricordo che mi colpì davvero tanto il suo approccio garbato, della serie “non ho un appuntamento, ma può concedermi comunque qualche minuto…..? Cerco dei consigli…”. Sono molto sensibile a questi aspetti…
E il nostro incontro andò avanti per quasi 45 minuti. Era così gradevole discutere di strategie e opportunità con una persona dalla mente così recettiva, aperta al nuovo, curiosa e soprattutto fiduciosa. Fiduciosa anche del fatto che, pur non avendo io nell’immediato una proposta di lavoro da farle, il nostro incontro le era stato utile e si stava portando a casa dei suggerimenti su come impostare la sua ricerca.
Ad es. quali erano i profili più richiesti; la promozione che avrei fatto io per lei, i passaggi che dovevamo curare insieme e quelli su cui si sarebbe potuta muovere da sola; il tipo di esperienze su cui poteva investire, quali abilità potenziare; ….
Quel pomeriggio A. se ne andò ringraziandomi. E avevo la sensazione di aver imparato molto anche io.
Ed ecco l’occasione: A. e l’opportunità di lavoro, buona la prima!
A. mi restò impressa. Tant’è che la ricontattai di lì a 3 mesi.
In effetti fu il mio primo pensiero, quando qualche tempo dopo un’azienda cliente (il referente HR si era rivolto a me già in un paio di altre occasioni), mi evidenziò il progetto di inserire un profilo di junior account […]. Si trattava di una società di servizi di consulenza [..] dall’ottima reputazione e una dimensione piuttosto importante, una rete di diversi uffici e di account su tutto il territorio nazionale; e un organigramma consolidato.
L’obiettivo della ricerca era presto detto. Potenziare una data sede, approfittando dell’importante crescita che stavano avendo l’azienda (che aveva guadagnato quote sul mercato nazionale di riferimento) e i servizi forniti (grazie anche a un’evoluzione in corso della giurisprudenza di settore). Dato l’evolversi veloce dello scenario e la strategia di leadership cui puntava, l’azienda voleva muovere per tempo il suo progetto di assunzione di personale. E con l’opportuno affiancamento voleva introdurre e formare una persona che, nel medio termine, sarebbe divenuta stabile.
Obiettivo chiaro e ben pianificato: avevo avuto un confronto sia con il responsabile della filiale specifica sia con l’HR manager dalla sede legale, sulle skills da tracciare, e sui tempi di affiancamento. E… preventivo! Il che non succede spesso.
Lo scenario, ambizioso e in evoluzione, trasmetteva serietà. Il profilo richiedeva studi compatibili con l’organizzazione aziendale, predisposizione ad attività di marketing e commerciali, ma anche abilità operative ed amministrativo-gestionali allo stesso tempo. Oggi diremmo un profilo multitasking, curioso e trasversale.
A., il profilo e la selezione
Decisi di provare a coinvolgere A., anche se il suo profilo era forse un po’ acerbo – non tanto la persona, quanto le competenze in materia -, ma di buon potenziale rispetto alla richiesta. Se l’azienda realmente poteva valutare un percorso di formazione interno e se A. confermava di essere disponibile anche a degli spostamenti, potevano davvero fare l’una al caso dell’altra.
Da un lato per il desiderio che la candidata aveva di percorrere proprio una carriera professionale che toccasse il tema della consulenza e comunicazione aziendale. Dall’altro per quanto A. aveva già sperimentato nella sua seppur breve vita lavorativa.
Lei infatti veniva da un’interessante esperienza di stage curricolare – durante l’ultimo periodo universitario – in un ufficio commerciale di una grande azienda tessile. E successivamente aveva svolto una collaborazione di oltre un anno con una società di marketing ed organizzazione eventi. Qui aveva sperimentato svariate attività: dalla segreteria e rendicontazione di progetti e fino alla loro ri-progettazione; dalla pianificazione di attività e realizzazione di materiali informativi, finanche all’organizzazione (insieme alla direzione) di una convention nazionale per conto di alcune associazioni di categoria. Durante l’organizzazione di questo importante evento, dovendo definire calendario e scaletta degli interventi, A. si era dovuta documentare su alcuni temi caldi della discussione, creare degli strumenti di contatto proattivo ad alcuni esponenti della categoria, procedere agli inviti, alla gestione delle trasferte, …
Quando chiamai A. per dirle della selezione, stava terminando un corso su contabilità e finanza di base, perché aveva ammesso che quegli argomenti le erano risultati un po’ ostici sin dall’università, e li aveva del tutto abbandonati. Ebbene, aveva appena rinfrescato alcuni temi che costituiscono proprio la base concettuale dei servizi di consulenza forniti dal mio cliente!
Non c’era dubbio: trovammo entrambe che l’opportunità fosse interessante e utile ai suoi obiettivi.
Sulla selezione non mi soffermo troppo. Fu lineare e molto rapida. Onestamente, A. sbaragliò tutta la concorrenza, anche quella più scafata. Fu selezionata e assunta in meno di 10 giorni dal primo colloquio in azienda.
Aveva colpito per la grinta e la sua impostazione consulenziale, tanto che l’azienda non ebbe dubbi nel rendersi disponibile a investire un tantino di più sul suo progetto d’inserimento.
A. e il percorso contrattuale
Rimasi in contatto con A. anche quando fece il suo ingresso in azienda. E ci risentimmo negli anni successivi.
Mi aggiornò in occasione degli step contrattuali. Inizialmente le avevano proposto uno stage formativo sugli argomenti della consulenza […], che lei aveva accettato di buon grado. Ma in soli tre mesi (e nettamente in anticipo sul progetto originale di stage: che prevedeva un 3 mesi+3) le fu proposto un contratto di assunzione a tempo determinato (sei mesi). Poi una proroga. E infine il tempo indeterminato, ai 15 mesi in azienda 😮.
Le fu anche proposto uno spostamento presso una un’altra sede più grande (non lontana per la verità dalla prima), dove – A. mi raccontò – la sfida fu di ricompattarsi in un nuovo e più ampio gruppo di lavoro e un nuovo metodo, per quanto l’azienda avesse procedurizzato molte attività. La sfida fu ben accetta, anche di fronte a tempi moderni che imponevano risultati via via più ambiziosi (livello di servizio, obiettivi di fatturato, … aumentavano anno su anno, sopratutto su piazze più importanti).
A. mi raccontò anche di un suo compleanno lavorativo particolarmente felice. Erano circa cinque anni che era in azienda quando le fu attribuita una promozione. Mi scrisse una bella mail per informarmi. Come quando parla, anche quando scrive A. dà molta enfasi alle parole. Sembrava di leggere un racconto di Dickens 😀.
La promozione
Tutto era iniziato un po’ di mesi prima, quando era venuta a conoscenza di una selezione interna per un ruolo del tutto nuovo***.
*** In effetti ricordo che ad un certo punto me ne aveva parlato anche l’HR della società di consulenza […], per una nuova ricerca, ma poi non se ne fece più nulla. Col senno di poi capii che optarono per una selezione interna 😀.
A. mi descrisse una figura operativa di staff che avrebbe operato su tutto il territorio nazionale. Si doveva dedicare alla pianificazione di progetti di consulenza […] complessi, basati su imponenti campagne di comunicazione e su un portafoglio di clienti di alto profilo. Il ruolo fino ad allora non era mai stato in organigramma: una sfida a tutti gli effetti.
A. rifletté che era giunto il momento di mettersi in discussione, potenziare le sue risorse più rodate e tentare di diversificare il suo quotidiano. Avanzò la candidatura (il penultimo giorno utile; con me ammise che ci aveva pensato bene!) ed ebbe subito un colloquio con il suo responsabile di filiale e il dipartimento HR. Ma poi, per molte settimane, non seppe più nulla. Nel frattempo aveva intrapreso un progetto impegnativo per un nuovo cliente, e tra la costruzione del business plan e l’organizzazione di eventi e percorsi formativi, alla selezione interna aveva anche smesso di pensarci. Nel frattempo aveva anche ricevuto un premio dalla sua direzione commerciale, un incentivo per l’ottimo risultato ottenuto sul campo nell’anno precedente, e si era sentita comunque appagata.
Ma poi, alcuni mesi dopo la candidatura, A. ricevette la telefonata che non si aspettava più. Era stata scelta. E a comunicarglielo era proprio colui che avrebbe ricoperto il ruolo di suo nuovo responsabile – persona che conosceva un po’, per via di alcuni clienti condivisi, ma con cui non aveva mai collaborato a stretto gomito.
Il suo “nuovo capo” le disse di essere “soddisfatto della scelta dell’azienda” e che “adesso avrebbe dovuto fare le telefonate più spiacevoli – quelle ai colleghi non selezionati, ndr – ma che ci teneva ad averle dato comunicazione personalmente”. E A., dal canto suo, mi disse che non seppe trattenersi, pur tentando di modulare la contentezza per non sembrare fuori luogo. Rispose: “Non vedo l’ora di cominciare. Posso intanto fare o studiare qualcosa?”. Tra passaggi di consegne, termine progetti in corso e ufficializzazione della nuova funzione, le ci sarebbero voluti altri 2-3 mesi almeno, prima di prendere possesso del nuovo ruolo. Ma era evidente la propulsione che aveva!
Aveva creduto nella sua azienda, e la sua azienda in lei. Cosa può esserci di meglio per un lavoratore?
A. che cresce: le competenze
Con A. ci risentimmo più volte (circa 2 o 3 volte l’anno), anche perché ci teneva a raccontarmi quanto fosse soddisfatta non solo della carriera contrattuale, ma anche delle competenze che apprendeva.
Anno su anno imparava nuovi contenuti e abilità, perché – mi diceva – la direzione aggiornava continuamente i servizi, e la sua attività di account doveva necessariamente stare al passo con le novità. Inoltre aveva acquisito autonomia nel contatto e gestione dei clienti e aveva preso parte a progetti molto complessi. E il fatto stesso di far parte di una società piuttosto grande, era di per sé formativo: “molti dipendenti=molti contributors=molte case histories a cui ispirarsi” (cit. mail di A.). Percepiva non solo di stare costruendo un importante bagaglio di conoscenze, ma anche la fiducia dei suoi collaboratori e del suo responsabile.
Il suo datore di lavoro promuoveva periodicamente corsi interni di specializzazione per potenziare la conoscenza di alcuni strumenti di marketing; inoltre mi raccontò che il suo capo l’aveva coinvolta in una convention sulla comunicazione digitale, pensata proprio per approfondire il concetto di posizionamento del brand nell’era digitale. L’azienda stava investendo su di lei e allo stesso tempo ne aveva considerazione: a A. era assolutamente chiaro quanto la sua azienda e il suo capo credessero in lei, e in ciò che faceva.
E tutto ciò da quasi subito dopo il suo ingresso al lavoro.
A. mi raccontò infatti che una parte del suo iniziale praticantato si basò proprio su analisi e azioni di comunicazione da svolgere autonomamente, con la supervisione e il feedback continuo del suo account responsabile. Mentre alcune azioni (come ad esempio la pianificazione delle consulenze), erano svolte in team e A. era stata inserita in un gruppo molto collaborativo. Anche lei, che era l’ultima arrivata, era invitata a intervenire e proporre idee.
E quando avvenne lo spostamento nella nuova sede, il nuovo responsabile di filiale (una persona molto esperta e risoluta, da cui A. ammette che cercava di “rubare” quante più idee poteva…!) la coinvolgeva anche nelle riunioni relative a budget, forecast e strategie. E in alcune occasioni aveva potuto gestire anche delle trattative commerciali in autonomia.
A. innamorata del suo lavoro!
In molti dei nostri scambi, A. mi ha più volte ripetuto che uno dei punti di forza del suo lavoro (e della sua azienda), era che non c’era giornata uguale alla precedente (“salvo se non riesci a risolvere il problema del giorno prima!”, cit. 😀). E ciò le dava forte stimolo.
Spesso lodava l’ambiente di lavoro: ora dinamico, ora aperto al confronto, ora attento al nuovo, ora formativo, ora attento ai suoi collaboratori. E trovava positivo anche il clima aziendale: era sereno nonostante gli obiettivi incalzanti. In quell’habitat trovava l’ideale per alimentare la sua curiosità e non le faceva fatica lavorare con impegno.
E si trovava benissimo anche coi suoi colleghi.
Un giorno fu lei stessa a dirmi: “oltre alle nozioni (i temi di finanza e di organizzazione aziendale, la lettura del Sole 24 Ore, norme e decreti, procedure e business plan, …) credo davvero di stare imparando a vivere”.
Poi mi spiegò che si riferiva alla responsabilità, alla collaborazione, al rispetto; ad avere degli obiettivi. Lavorare non per riempire una postazione o delle ore, ma per creare valore.
Di solito questa conclusione la si trae dopo una vita di lavoro. E nella mia esperienza di recruiter raramente ho incontrato persone così consapevoli e manifestamente riconoscenti verso il proprio lavoro.
A., a meno di 35 anni (mi pare di ricordare), non poteva dirlo meglio.
Il punto di vista dell’Azienda
Ma in tutto ciò, cosa diceva il datore di lavoro di A.?
“Ci sa fare!”.
Così mi aveva detto in più occasioni (almeno tre ne ricordo) la società che l’aveva assunta. Col mio cliente, com’è ovvio!, ero rimasta in contatto anche per monitorare il percorso di A.
A. è attenta e creativa, tecnicamente capace e sempre in miglioramento, ben organizzata e sa far pendere dalle sue labbra ogni tipo di interlocutore.
E’ instancabile, impara dai suoi errori ed è sempre collaborativa. Si vede proprio che per lei il buon risultato è tutto.